Via Emilia Est 281 (rinvenimento 74). Blocchi lapidei decorati da un fregio con corteo marino, ricavati da un monumento funerario a edicola del I sec. a.C. e riutilizzati nel V sec. d.C. come base di una struttura, forse un ponte in legno per l’attraversamento di un canale parallelo alla via Emilia.

Il reimpiego di materiali antichi

A partire dall’età tardoantica si diffonde l’uso di recuperare materiali da edifici pubblici e da monumenti funerari, che vengono riutilizzati soprattutto per la difficoltà di reperire materia prima.

Le necropoli dei secoli precedenti, in particolare, diventano nella tarda antichità e nell’alto medioevo delle vere e proprie cave per il recupero di materiale che veniva riutilizzato per nuove sepolture o per la costruzione di edifici, o era addirittura bruciato nelle calcare per essere trasformato in calce.

Questo fenomeno diviene frequente a seguito della generale crisi economica dell’impero, che si era sviluppata a partire dall’età dell’imperatore Gallieno (253-268 d.C.) e che si accentua nel IV-V secolo d.C., quando vengono meno le opere di manutenzione delle infrastrutture e degli edifici pubblici. All’incuria e al degrado, a cui tentarono di opporsi alcune leggi, si aggiunsero i fanatismi religiosi che portarono a demolire le testimonianze del paganesimo.

Il reimpiego poteva comportare un recupero di tipo distruttivo del manufatto antico, che veniva adoperato come semplice materiale edilizio, annullandone la funzione precedente o nascondendone alla vista la forma, o viceversa un recupero di tipo conservativo, in cui il frammento antico veniva riproposto in maniera evidente spesso con funzioni analoghe a quelle originali, mantenendo talvolta un legame connotato di una valenza simbolica con il precedente uso.

Spesso i monumenti antichi venivano smontati per essere riusati come materiali edilizi, ignorandone il valore artistico e il pregio delle parti decorate. Nell’area suburbana di Mutina sono stati individuati alcuni elementi di monumenti funerari di età augustea e giulio-claudia, forse collocati in origine nella necropoli orientale della città, che nel V-VI secolo d.C. furono posti ai lati della via Emilia per delimitare e contenere la massicciata.

Lastra dei Niobidi, I secolo d.C., da via Crespellani. La decorazione ad altorilievo rappresenta l’uccisione dei figli di Niobe alla presenza del padre Anfione, e fu eseguita forse su modello di un originale scolpito dallo scultore greco Fidia nel V secolo a.C. Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena.

Altre volte elementi di pietra prelevati da monumenti antichi venivano addirittura distrutti per ricavarne calce. Accanto alla necropoli romana rinvenuta a Cittanova, a ovest di Mutina, è stata localizzata un’ampia calcara, al cui interno e nelle immediate vicinanze sono stati trovati residui di lavorazione di elementi di pietra, probabili segnacoli di tombe della vicina area sepolcrale.

Anche nelle necropoli orientali sono presenti evidenti tracce di fosse scavate per il recupero dei materiali edilizi da riutilizzare, come nei casi dei sepolcreti individuati in via Cesana (rinvenimento 63) e all’incrocio della via Emilia con la tangenziale Pasternak (rinvenimento 84).

Nelle necropoli tardoantiche ed altomedievali urbane di Mutina è frequente il recupero di stele o di lastre di monumenti funerari più antichi, riutilizzate come elementi di sepolture.

I manufatti in genere venivano reimpiegati senza alcuna attenzione o interesse per le iscrizioni dedicatorie e per gli apparati decorativi, che risultano spesso obliterati nel nuovo utilizzo. Gli elementi antichi potevano essere utilizzati sia nella struttura tombale che come copertura di tombe.

In quest’ultima collocazione furono rinvenuti, ad esempio, la lastra di Peducaeus Nicephorus, che sigillava insieme ad altre tre lastre di marmo una tomba con sarcofago in cassa di piombo in Via Fonte d’Abisso (rinvenimento 87), la stele di Vettius Primigenius  e il rilievo raffigurante il mito dei Niobidi, ritrovati entrambi nella necropoli orientale (rinvenimento 342).

Non è escluso, tuttavia, che in alcuni casi la presenza di una lastra marmorea di fine fattura come copertura tombale rispondesse ad una precisa volontà di sottolineare il particolare prestigio di una sepoltura, mantenendo in questo caso un legame connotato di valenza simbolica con il precedente utilizzo: sembra questo il caso della stele di Marcus Aelanius Proculus, che sigillava con l’iscrizione a vista una tomba a cassa laterizia rinvenuta in Piazza Grande (rinvenimento 136).

Una forma particolare di reimpiego riguarda le modifiche apportate alle statue pubbliche, alle quali si voleva attribuire una nuova valenza politica o religiosa rilavorandone il ritratto e gli attributi simbolici. In alcuni casi la cancellazione di un nome o la sostituzione di una statua erano motivati dalla volontà di obliterare il ricordo di personaggi che erano stati condannati alla damnatio memoriae.

Sarcofago a cassapanca realizzato nella seconda metà del II secolo d.C. e riutilizzato una prima volta nel IV secolo, periodo a cui può essere attribuita l’iscrizione funeraria di Peducaea Iuliana, prima moglie di Lucius Nonius Verus. Il sarcofago fu riutilizzato anche nel 1443 dalla nobile famiglia modenese dei Boschetti. Museo Lapidario Estense.

Nel 1856 furono scoperte in Rua Pioppa basi di statue onorarie, in un’area lastricata che doveva essere collegata al vicino foro (rinvenimento 247). Una di queste basi, con dedica a Flavio Valerio Costanzo, riutilizzava una precedente base onoraria con dedica all’imperatore Adriano.

Una terza base onoraria, anch’essa riutilizzata come basamento per un altro monumento, presentava l’iscrizione erasa in modo da rendere illeggibile, secondo l’usanza della damnatio memoriae, il nome dell’imperatore Numeriano a cui era stata originariamente dedicata.

In ambito funerario riveste un significato particolare il riutilizzo dei sarcofagi di epoca più antica, simboli di prestigio ed enfatizzazione dell’appartenenza ad una classe sociale elevata, forma di distinzione dalle coeve sepolture più modeste.

Questa forma di reimpiego riguarda i grandi sarcofagi in marmo, molti dei quali erano stati realizzati tra la metà del II ed il III secolo d.C. per eminenti personaggi locali, e furono riutilizzati nel IV secolo da famiglie dell’alta burocrazia imperiale.

Il riuso di sarcofagi segna un’epoca di crisi, durante la quale erano venuti meno i collegamenti con le cave orientali che rifornivano di monumenti allo stato grezzo o prelavorato le officine di Ravenna e di Aquileia. Il reimpiego si caratterizza per la reincisione delle iscrizioni, adattate alla nuova committenza, e per alcune rilavorazioni che interessano i ritratti, mentre generalmente non subisce modifiche l’apparato decorativo nel suo insieme.

In sepolcreti più tardi le iscrizioni appaiono erase, ma non più reincise. In questo caso è la sola scelta del monumento a testimoniare la ricchezza della famiglia. A Mutina sono noti molteplici esempi di questo tipo di riuso: dal sarcofago di Piazza Matteotti (rinvenimento 124), databile al II secolo d.C., al cui interno si rinvenne un corredo di IV-V secolo d.C., a quello riutilizzato nel IV secolo per Bruttia Aureliana (rinvenimento 55), nipote del consul ordinarius del 330 d.C. Flavius Gallicanus vissuto nella prima metà del IV secolo d.C., a quello di M. Aurelius Processanus. Anche il vir consularis L. Nonius Verus, patrono di Mutina, utilizzò sarcofagi di reimpiego destinandoli a membri della propria famiglia. Il sarcofago dedicato alla sposa tredicenne Peducaea Iuliana (rinvenimento 68) era stato fabbricato nel II secolo d.C., mentre quello dedicato all’altra moglie Vinicia Marciana nel III secolo.

Sarcofago a cassa liscia ritrovato in Piazza Grande (rinvenimento 137). Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena.

Anche i più modesti sarcofagi in pietra calcarea prodotti nel V secolo d.C., spesso stuccati e dipinti, furono oggetto di reimpiego in età altomedievale da parte di popolazioni barbariche, attestate nelle aree sepolcrali romane.

In Piazza Grande, all’interno di un sarcofago a cassa liscia, databile probabilmente al V secolo d.C., si rinvennero, oltre alle precedenti sepolture, due deposizioni riferibili a personaggi di stirpe longobarda, databili per gli elementi di corredo all’ultimo venticinquennio del VI secolo.