Introduzione

Le cause che portarono alla guerra di Mutina derivarono dal vuoto di potere determinato dall’uccisione di Giulio Cesare nel 44 a.C. L’assassinio era stato voluto dalla fazione del Senato maggiormente legata alle istituzioni repubblicane, che vedevano nell’abnorme potere di Cesare un pericolo per il futuro della stessa repubblica.

Tuttavia il golpe fu fortemente contrastato da Marco Antonio, in quell’anno console in carica assieme a Cesare e suo potente generale, deciso a raccogliere l’eredità del dittatore.

I piani di Marco Antonio furono però scompaginati dall’entrata nella scena politica del giovane Ottaviano, figlio adottivo ed erede di Cesare, il quale si schierò con il Senato contro Marco Antonio.

L’alleanza fu però di breve durata, e subito dopo la vittoria nella guerra di Modena, Ottaviano si alleò con il suo rivale Marco Antonio e con un’altra potente personalità politica del tempo, Marco Emilio Lepido, formando il secondo triumvirato e spartendosi così il potere dell’ormai vacillante repubblica romana.

La narrazione della guerra di Modena è stata ricostruita sulla base di numerose testimonianze letterarie di età romana. Alcune di autori contemporanei agli eventi, come Cicerone e Livio, molte altre di età successiva, soprattutto comprese tra il I e il II secolo d.C. Tra queste ultime le principali sono quelle degli storici Appiano e Cassio Dione.

Alcune immagini utilizzate per la ricostruzione sono state riprese dagli affreschi di Nicolò dell’Abate, raffiguranti la guerra di Mutina, realizzati nel 1546 in una Sala del Palazzo Comunale di Modena.

Anno 44 a.C.

Entrano in carica i nuovi consoli. Oltre a Caio Giulio Cesare, che era stato nominato console per 10 anni a partire dal 46 a.C., assumono la carica Marco AntonioPublio Cornelio Dolabella, nominato console supplente (suffectus) in previsione della lunga assenza di Cesare, in procinto di partire per la guerra contro i Parti.

Cesare è dittatore a vita. Marco Antonio cerca di incoronare Cesare, ma incontra il rifiuto del dittatore.

Una congiura ordita da numerosi rappresentanti del Senato fa cadere sotto i colpi dei pugnali il dittatore Giulio Cesare. Il complotto è guidato da Marco Giunio Bruto e Cassio Longino. Fra i congiurati è anche Decimo Bruto.

Seduta straordinaria del senato presso il tempio della dea Tellus. Grazie alla mediazione del senatore Marco Tullio Cicerone, fermo oppositore di Cesare ma estraneo all’ideazione e all’attuazione dell’attentato, si raggiunge un accordo tra gli esponenti dei cesariani facenti capo a Marco Antonio ed i congiurati del senato. L’accordo prevede l’amnistia agli assassini di Cesare ma anche la ratifica di tutti gli ultimi atti del dittatore. Tra questi l’affidamento del governo della Macedonia a Marco Antonio e quello della Gallia Cisalpina a Decimo Bruto.

Decimo Bruto si reca in Gallia Cisalpina per assumere il governo della provincia con tre legioni di reclute (tirones) e un contingente di gladiatori.

Si diffonde la notizia che da Apollonia, nell’Epiro, sta per giungere a Roma il giovane Gaio Ottavio, un pronipote di Cesare che il defunto dittatore aveva nominato nel testamento figlio adottivo ed erede. Immediatamente dopo il suo arrivo a Roma Gaio Ottavio, ora divenuto Gaio Giulio Cesare Ottaviano, incontra gli esponenti del senato, tra i quali Cicerone. Questo fatto provoca le ire ed i timori di Marco Antonio il quale teme che una parte consistente della fazione filo-cesariana possa seguire, nel ricordo del defunto dittatore, il figlio adottivo Ottaviano.

La situazione politica a Roma è confusa e prossima ad uno scontro fra i rappresentanti dello schieramento dei cesaricidi, che si riconoscono nella leadership morale di Cicerone, e i filo cesariani che facevano capo a Marco Antonio.

Marco Antonio, forte della sua carica di console, scavalca le competenze del senato ed ottiene dai comizi tributi la ratifica di una legge (lex de permutatione provinciarum) che gli consente lo scambio del governo della provincia della Macedonia con quello della Gallia Cisalpina e della Gallia Transalpina per una durata di cinque anni.
Questo provvedimento scatena la violenta reazione dello schieramento senatoriale capeggiato da Cicerone. Una legge promulgata da Silla nell’81 a.C. vietava la presenza di eserciti in armi nel territorio italiano; la Gallia Cisalpina era dunque il territorio più vicino a Roma dove era consentito mantenere legioni.
Si trattava di una palese imitazione di quanto fatto in precedenza da Cesare il quale, grazie ad una legge (lex vatinia) aveva ottenuto nel 58 a.C. il governo delle Gallie per cinque anni. Qui Cesare, grazie alle sue straordinarie imprese militari, rafforzò il potere e da qui nel 49 a.C. intraprese la sua vittoriosa offensiva contro Pompeo e il senato che gli consentì il controllo assoluto della oramai vacillante repubblica romana.

Cicerone pronuncia in senato la prima delle sue 14 celebri orazioni contro Marco Antonio, dette Filippiche. Sicuro dell’appoggio del giovane Ottaviano, Cicerone esige che Antonio venga dichiarato “nemico pubblico”.

Gli eventi precipitano.
Marco Antonio lascia Roma agli inizi del mese per raggiungere Brindisi dove si ricongiunge alle sue legioni provenienti dalla Macedonia. Marco Antonio deve però affrontare la sedizione di una parte dei suoi soldati che chiedono a gran voce donativi più consistenti e l’immediata punizione degli assassini di Cesare. È costretto a promettere ulteriori pagamenti alle truppe, ma con molta durezza fa giustiziare i capi della rivolta.
Ordina poi a cinque sue legioni di marciare lungo la costa adriatica puntando su Rimini (Ariminum), accesso alla Gallia Cisalpina, mentre egli stesso con la sua legione più fedele la V Alaudae (ovvero le allodole, così detta perché i legionari ornavano l’elmo con un ciuffo di penne di allodole) si dirige su Roma.
Frattanto Ottaviano era giunto nella capitale con tremila fedeli legionari, veterani di Cesare e a lui devoti, reclutati senza alcuna ratifica delle istituzioni. L’atto fu interpretato da Marco Antonio come un’aperta minaccia.

Antonio giunge a Roma con l’intenzione di dichiarare Ottaviano “nemico pubblico”, ma lo raggiunge la notizia allarmante che due delle sue legioni, la IV e la Martia Victrix, in marcia verso Rimini si erano ribellate passando dalla parte di Ottaviano. In senato Cicerone con sempre maggiore veemenza attacca Marco Antonio.

Antonio convoca una seduta straordinaria del senato.
In questa occasione invia un messaggio a Decimo Bruto intimandogli formalmente di lasciare la Gallia Cisalpina.

Antonio, seguito dalla V legione, lascia Roma per raggiungere il resto del suo esercito a Rimini, percorrendo la via Flaminia.

Decimo Bruto replica all’ultimatum di Marco Antonio con una missiva sfidando apertamente il rivale ed appellandosi all’autorità del senato e del popolo romano. Non potendosi opporre in campo aperto alle più esperte legioni di Marco Antonio e temendo per l’inesperienza delle proprie, composte da tre legioni di reclute e da un contingente di gladiatori, Decimo Bruto si trincera dentro le mura della fiorente colonia di Mutina dove consolida le difese della città e requisisce i beni degli abitanti per approvigionare il suo esercito, deciso a sostenere l’eventuale assedio.

Anno 43 a.C.

Entrano in carica i nuovi consoli Aulo Irzio e Vibio Pansa. Nei giorni successivi viene approvata in senato una mozione presentata dal senatore Fufio Caleno con la quale si decide di inviare un’ambasceria a Marco Antonio, intimandogli per l’ultima volta di ritirare le sue truppe e di sottomettersi alla volontà del senato.

Giunge a Roma la notizia che Marco Antonio ha rifiutato ancora una volta di sottomettersi all’autorità del senato. È così proclamata la condizione di “nemico pubblico” per Marco Antonio e viene dato mandato ai consoli Irzio e Pansa di procedere militarmente contro Marco Antonio. È così formalmente approvato lo stato di guerra (Senatus consultum ultimum) e viene associato ai consoli in qualità di propretore il giovane Ottaviano al comando di due coorti pretorie.
Le truppe di Marco Antonio risalgono la via Emilia da Rimini giungendo presso Modena, dove stringono d’assedio la città, erigendo imponenti opere di circonvallazione.
Il campo di Antonio viene costruito probabilmente ad Ovest di Modena, essendo questa zona al riparo rispetto al previdibile attacco da Est dell’esercito senatoriale.
Contemporaneamente Marco Antonio affida al fratello Lucio Antonio e ad altri suoi luogotenenti il compito di occupare le città vicine.
Senza colpo ferire occupano Bologna (Bononia) e, ad ovest di Modena, Reggio Emilia (Regium Lepidi) e Parma. Quest’ultima città, che appoggiava lo schieramento senatoriale (uno dei cesaricidi, Cassio Parmense era originario di Parma) subisce una feroce rappresaglia ad opera di Lucio Antonio.
Sinistri eventi fanno presagire il prossimo scontro fra Marco Antonio e il senato. Lo storico Cassio Dione, tre secoli più tardi, racconterà che una statua di Minerva venerata presso Modena, versava latte e piangeva sangue.

Il console Irzio ed Ottaviano raggiungono i confini della Cisalpina con le avanguardie delle truppe del senato, consistenti nelle due legioni che si erano ribellate ad Antonio, la IV e la Martia Victrix, e nelle due coorti pretorie di Ottaviano.
Nel frattempo l’altro console Vibio Pansa, si attardava a Roma per arruolare quattro nuove legioni di reclute.
Dopo una marcia senza ostacoli le truppe di Irzio ed Ottaviano sono costrette dalla cattiva stagione a fermarsi e ad accamparsi presso due centri ad Est di Bologna: Forum Cornelii, l’attuale Imola, e Claterna, in prossimità di Ozzano Emilia.

Il console Pansa lascia Roma con le sue quattro legioni di reclute.

Irzio e Ottaviano riprendono ad avanzare verso Mutina.
Marco Antonio non intende distogliere truppe dall’assedio di Mutina, quindi non attacca le forze del senato e lascia che venga occupata Bologna senza tentare di difenderla. Si limita solo ad alcuni attacchi di disturbo della veloce cavalleria ausiliaria, arma con la quale prevale nettamente sugli avversari.
Dopo la conquista di Bologna i senatoriali riescono comunque ad avere la meglio sulla cavalleria di Marco Antonio, che tuttavia riesce a disimpegnarsi e a raggiungere il resto delle forze a Modena.
I senatoriali la inseguono fino al corso di un fiume, probabilmente il Panaro, che allora si chiamava Scultemna, nome rimasto ancora oggi ad uno dei rami appenninici del Panaro.
Giunti a poche miglia da Modena Irzio e Ottaviano tentano il passaggio del Panaro ma vengono respinti dal presidio che Marco Antonio aveva lasciato a guardia del ponte sul fiume, che probabilmente si trovava a Sud dell’attuale ponte di S. Ambrogio, dove la via Emilia attraversava il fiume.
L’armata senatoriale tenta di avvertire gli assediati di Modena del loro arrivo. Un soldato viene mandato sopra una alta pianta per lanciare segnali ottici ma l’espediente non funziona.
Constatata l’impossibilità di attraversare il Panaro nel punto più diretto, l’esercito del senato è costretto a cercare un altro guado che probabilmente riesce a trovare alcune miglia più a monte. Una volta passato il fiume le legioni di Irzio e Ottaviano stanziano il loro accampamento presumibilmente a Sud di Modena.
Le condizioni degli assediati sono assai difficili e la città sta per capitolare come vorrebbe Marco Antonio. È necessario fare arrivare al più presto rifornimenti. Si tenta così di inviare dei sommozzatori che percorrendo un fiume che lambiva la città (probabilmente il Saniturnus,l’attuale Tiepido) avrebbero potuto raggiungere Mutina. Lo stratagemma viene scoperto da Marco Antonio che fa tirare delle reti per impedire ai sommozzatori di proseguire lungo il fiume.
Successivamente però i senatoriali riescono a comunicare con gli assediati tramite colombi viaggiatori e a far pervenire rifornimenti con delle botti che fanno scendere lungo il fiume.
Durante questa prima fase dei combattimenti un contingente di cavalleria ed un reparto di truppe che montava elefanti diserta passando dalle forze del senato a quelle di Marco Antonio.

Verso sera, dopo una lunga marcia durata 26 giorni, le legioni di reclute al comando di Pansa giungono nei pressi di Modena dove si rifugiano nel campo trincerato che il questore Torquato aveva già fatto approntare sulla via Emilia ad Est del piccolo centro di Forum Gallorum (l’attuale Castelfranco Emilia). La stessa notte il console Irzio preoccupato per l’inesperienza delle truppe di Pansa invia in soccorso l’intera legione Martia Victrix e le due coorti pretorie di Ottaviano comandate dallo stesso Ottaviano e dal legato Carsuleio. I due contingenti si congiungono forse ad Est di Forum Gallorum, di fronte al campo trincerato di Vibio Pansa.
Marco Antonio, informato dell’arrivo di Vibio Pansa, al fine di evitare il congiungimento dei due eserciti consolari, passa decisamente all’azione elaborando un raffinato piano tattico.
Lascia una parte delle sue truppe di fronte al campo fortificato di Aulo Irzio mentre sposta dall’assedio due legioni di veterani (la II e la XXV) e due coorti pretorie conducendole oltre il Panaro.
Le fa appostare in prossimità di Forum Gallorum e forse anche dentro questo villaggio, ai due lati della via Emilia, che in quel punto correva sopraelevata sulla pianura circostante occupata da paludi e boscaglie.
Sul lato sud, cioè a monte della via Emilia, fa appostare la II legione e una coorte pretoria al comando del legato Silano, oltre a un contingente di cavalleria celtica, sul lato Nord, cioè a valle della via Emilia, la XXV legione e la cavalleria leggera mauritana. Immediatamente a ovest di Forum Gallorum Marco Antonio disloca bene in vista, come esca per i nemici, la sua coorte pretoria, fanteria leggera composta anche da artiglieria leggera (arcieri, lanciatori di giavellotto e frombolieri), ed il resto della sua cavalleria.

La legione Martia Victrix e le due coorti pretorie di Ottaviano, seguite da due legioni di reclute con il compito di coprire le spalle, muovono verso Forum Gallorum, lungo la via Emilia.
Alla vista della coorte pretoria di Marco Antonio schierata come esca, la Martia Victrix attacca senza sospettare che il grosso delle forze di Antonio è nascosto ai lati della via Emilia pronto per l’imboscata.
Scatta la trappola di Antonio: le truppe appostate ai lati della strada sbucano all’improvviso attaccando ai fianchi le forze del Senato. A causa dei raggi del sole però le due legioni nascoste ai lati della strada vengono intraviste un attimo prima dello scontro e così l’imboscata non si avvantaggia completamente del fattore sorpresa.
Si accende una furibonda e sanguinosa battaglia. Lo scontro si svolge in due settori separati ai lati della via Emilia.
A Nord della strada la XXV legione di Marco Antonio si scontra con otto coorti della Martia Victrix comandate dal legato Servio Sulpicio Galba.
A Sud della via Emilia la II legione di Marco Antonio si scontra con le rimanenti due coorti della Martia Victrixe con la coorte pretoria di Ottaviano. Dopo una prima fase incerta le due ali dello schieramento senatoriale incalzate anche dalla superiore cavalleria di Antonio sono costrette a ripiegare, travolgendo le due legioni di reclute di Vibio Pansa che stavano accorrendo.
Le truppe del senato in rotta si ritirarono dietro le fortificazioni apprestate sulla via Emilia.
Le legioni di Marco Antonio tentano di espugnare il campo nemico ma vengono respinte dalle opere di difesa.
Le perdite per l’esercito del senato sono molto pesanti e rese ancor più drammatiche dal grave ferimento del console Vibio Pansa che morirà pochi giorni dopo.
La legione Martia Victrix ha perso oltre metà dei suoi uomini e la corte pretoria di Ottaviano è pressocchè annientata. Si conta che le perdite dell’esercito senatoriale potrebbero ammontare a circa 3.500 uomini.

Le legioni vittoriose di Marco Antonio, ormai esauste per il lungo combattimento, ripiegano lungo la via Emilia per tornare all’accampamento presso Modena. Vengono però intercettate dal resto dell’esercito del senato: Aulo Irzio infatti, venuto a conoscenza dell’esito della battaglia di Forum Gallorum, si muove in soccorso delle truppe senatoriali sconfitte per attaccare Marco Antonio sulla via del ritorno.
Nello stesso luogo dove precedentemente si era combattuta la furiosa battaglia si scontrano di nuovo le legioni di Aulo Irzio e di Marco Antonio. Lo scontro è impari: le truppe di Marco Antonio, inferiori di numero e stremate dalla sanguinosa battaglia che avevano combattuto nelle ore precedenti, vengono pesantemente sconfitte lasciando in mano nemica due aquile e sessanta insegne. Nonostante la sconfitta subita, Antonio riesce a portare in salvo poco meno della metà delle sue truppe e gran parte della cavalleria. Quattro ore dopo il tramonto raggiunge fortunosamente il proprio accampamento presso Modena.
A Roma la notizia della vittoria dell’esercito senatoriale viene accolta con giubilo.Cicerone chiede l’acclamazione per i due consoli ed Ottaviano. La vittoria però non era completa. Marco Antonio infatti stringeva ancora d’assedio Modena che non riusciva ad essere rifornita.

Le fonti storiche che riguardano l’ultima parte del Bellum Mutinense sono abbastanza confuse e pertanto si ripropone una ricostruzione ipotetica di questa fase della guerra.
Constatata la difficoltà per le truppe senatoriali di rompere l’assedio e far giungere rifornimenti alla città oramai stremata gli assediati tentano una sortita.
Il legato di Decimo Bruto, Ponzio Aquila, anche esso cesaricida, guida una legione fuori dalle mura della città e sconfigge in campo aperto Tito Munazio Planco, uno dei legati di Antonio. Lo stesso Aquila perde però la vita nei combattimenti.
La sconfitta di Marco Antonio aveva dimostrato che oramai il suo esercito era vulnerabile e dunque Aulo Irzio ed Ottaviano rompono gli indugi muovendo con le loro truppe verso le opere di fortificazione del nemico.
Marco Antonio attacca frontalmente i nemici provocando un durissimo combattimento, a cui partecipano anche le forze militari di Decimo Bruto che escono dalla città.
La battaglia è cruenta e in quest’occasione perde la vita anche il console superstite Aulo Irzio.

Il campo di Marco Antonio è espugnato. Modena è finalmente liberata.
Dimostrando ancora una volta la sua grande capacità di stratega militare Marco Antonio, che precedentemente aveva fatto occupare tutta la zona ad Ovest di Modena per assicurarsi eventualmente una agevole ritirata, riesce a riparare verso Regium Lepidi (Reggio Emilia), con la sua unica legione superstite, la fedele V Alaude.

Essendo morti entrambi i consoli, il capo militare delle forze senatoriali era divenuto il giovanissimo Ottaviano.
Decimo Bruto, che era stato uno dei protagonisti della congiura contro Giulio Cesare, teme che il giovane nipote del dittatore assassinato, possa ora vendicarsi scatenandogli contro le truppe al suo comando, in gran parte composte da veterani legati al ricordo di Giulio Cesare. Pertanto, malgrado la fuga di Antonio, rimane trincerato a Modena, facendo tagliare i ponti che separavano la città dall’accampamento di Ottaviano.
Successivamente Decimo Bruto accetta di incontrare Ottaviano, ma con molta cautela stabilisce che l’incontro avvenga in mezzo alle linee dei due eserciti, su un’imbarcazione o su un ponte, in mezzo al fiume che lambiva la città.
Marco Antonio intanto continua la sua ritirata lungo la via Emilia per raggiungere nella Gallia Transalpina l’esercito di Marco Emilio Lepido.
Decimo Bruto riceve l’ordine dal senato di inseguire con le sue truppe Marco Antonio oltre le Alpi dove si stava ritirando, ma viene abbandonato dalle sue truppe e mentre cerca di fuggire viene ucciso sulle Alpi da un capo di una tribù celtica.
Mentre Marco Antonio riesce a raggiungere Marco Emilio Lepido e a riunire le sue malconce forze con quelle del suo potente alleato, Decimo Bruto, abbandonato dalle truppe, cerca di fuggire e viene ucciso da un capo di una tribù celtica.
Ottaviano rimasto l’unico vincitore vivente ottiene con questa vittoria grande prestigio e potere ed è ora in grado di proporsi come interlocutore per il governo dello stato romano. Alleandosi poi con i suoi due rivali Marco Antonio e Marco Emilio Lepido dà vita al secondo triumvirato.
Finiscono così le aspirazioni dei Cesaricidi, definitivamente sconfitti a Filippi nel 42 a.C., e di Cicerone, ucciso a Formia da sicari inviati da Marco Antonio. La sua testa e le sue mani mozzate furono esposte come monito nel foro romano sulla tribuna degli oratori.