Il 500

Nel XVI secolo l’ampliamento della città e la costruzione delle nuove fortificazioni volute dal duca Ercole II segna un momento decisivo per la storia dei rinvenimenti archeologici a Modena. I lavori comportano infatti interventi radicali sul tessuto urbano, con la demolizione di antichi borghi (Albareto, S. Lazzaro e Cittanova) e con intense opere di escavazione per realizzare fossati e baluardi.

Le notizie dei molteplici recuperi di antichità effettuati in occasione di questi lavori ci sono giunte attraverso le testimonianze di numerosi autori che vissero quel momento di grandi scoperte. Le pagine della cronaca di Francesco Panini e il vivace diario di Suor Lucia Pioppi forniscono alcune tessere importanti per la ricostruzione di quegli eventi, ma è soprattutto la puntuale e dettagliata cronaca di Tommasino de’ Bianchi detto il Lancellotti che permette di seguire giorno per giorno modi e tempi di recuperi di ogni genere.

Nelle sue pagine sfilano i personaggi a vario titolo coinvolti in quei rinvenimenti: dai committenti ai cavatori, interessati a trarre il massimo profitto dalla vendita di antichità (rinvenimenti 184 e 233).

Tommasino de’ Bianchi, Cronaca modenese, 14 febbraio 1549, BE, Cronache Modenesi manoscritte, α.T.1.9, c. 697 v.
Adì ditto. Questo dì se atrovato circa 6 vaxi e terra cotta fra grandi e picoli uno dreto al altro nel fare el cavamento del fondamento del bellovardo de sotto della nostra Dona dalla Fossa verso levante et el signore Governatore se li ha fatto portare in castello per apresentarli al Il.mo duca quando el venirà in Modena.

Le cronache riportano a più riprese episodi in cui trapela un atteggiamento di estremo interesse per il possesso di antichità, interesse che spesso portava a vere e proprie dispute.

Famosa è la lite, ricordata da Tommasino de’ Bianchi, fra il Canonico Morando e messer Francesco Firavante, residenti entrambi in via Castelmaraldo, i quali dovettero ricorrere alla “bothega delli dottori” perché giudicassero chi fosse il proprietario di un sarcofago rinvenuto al confine fra le rispettive proprietà (rinvenimento 57).

Come già nei secoli precedenti, molti dei materiali archeologici acquisiti da privati o dalla Comunità vennero “esposti” in città soprattutto in Piazza Grande, dove il Duomo e il Palazzo Comunale continuavano ad essere i luoghi privilegiati di raccolta degli antichi sarcofagi riutilizzati come sepolture nobiliari. Altri materiali confluirono nelle collezioni estensi.

Dalle cronache sappiamo che il duca Ercole II veniva regolarmente informato dei recuperi archeologici effettuati in città e in più occasioni si fa riferimento ad invii di antichità alla corte estense.

Busto di Ludovico Castelvetro collocato all’angolo del palazzo in Rua Muro 76, già proprietà del Castelvetro. (Ciro Bisi , 1825-1901).

Un elenco dei materiali archeologici di provenienza modenese è probabilmente identificabile in un documento compilato dall’umanista Pirro Ligorio nel periodo in cui ricoprì l’incarico di antiquario e di architetto ducale alla corte ferrarese di Alfonso II.

Nel corso del Cinquecento si formano anche le prime raccolte private di antichità. Di una certa importanza doveva essere la collezione di Ludovico Castelvetro, dotto critico letterario e linguista modenese. Insignito della carica di Soprastante all’Edilizia fra il 1542 e il 1550, fece confluire nella propria collezione privata un nucleo di monumenti funerari recuperato presso porta S. Agostino (rinvenimento 54): ce ne dà notizia Francesco Panini che nella sua cronaca ricorda di avere visto le epigrafi nella casa del Castelvetro poco dopo il loro rinvenimento.