Ghiande missili in piombo, provenienti dall’ area dove si svolsero gli scontri della guerra di Modena. Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena.

L’Artiglieria

Negli eserciti dell’antichità l’azione della fanteria e della cavalleria veniva affiancata dall’utilizzo massiccio di truppe dotate di armi da lancio (arcieri, frombolieri e lanciatori di pietre), che formavano reparti di artiglieria leggera.

L’artiglieria pesante era invece costituita da sofisticate macchine da lancio per dardi o pietre. I frombolieri costituivano veri e propri reparti speciali addestrati al lancio con la frombola di ordigni di piombo. Questi proiettili, di forma ovale, erano detti glandae missiles ed il loro peso si aggirava intorno ai 30-50 grammi.  Probabilmente un lanciatore esperto era in grado di scagliare questi micidiali proiettili ad oltre 100 metri di distanza; gli effetti di quest’arma erano assai più letali di quanto oggi si è soliti ritenere.

Celso nel suo trattato De medicina sostiene che le ferite inferte da un proiettile di fionda (glandae missiles) erano assai più difficili da curare rispetto a quelle di una freccia.  Durante la guerra di Modena i due opposti schieramenti dovettero far largo uso dei frombolieri come testimonia anche il rinvenimento di varie glandae missiles proprio nei luoghi dove si svolsero alcune delle battaglie.

Ghiande missili in piombo con iscrizioni, provenienti dall’area dove si svolsero gli scontri della guerra di Modena. Su una ghianda è riconoscibile la parola FERI (colpisci), su un’altra la lettera A, forse l’iniziale del nome a cui era diretto il proiettile (Antonio?). L’abitudine di scrivere sui proiettili il nome del destinatario era abbastanza usuale. A volte erano scritte vere e proprie invettive violente e volgari. Alcune ghiande missili, oggi perdute, trovate nel secolo scorso nelle campagne dove si combattè la guerra di Modena, riportavano le seguenti iscrizioni: M. ANTO (Marcus Antonius), evidentemente destinatario del proiettile, L II / L IV (legioni II e IV), NAT. ACC. COSS. (Naturam accipite Consules), invettiva oscena nei confronti dei consoli Irzio e Pansa.
Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena


Raffigurazione di un fromboliere su un rilievo della Colonna Traiana.

Anche gli arcieri erano spesso reclutati fuori dall’Italia, soprattutto a Creta, nel Ponto e nelle provincie orientali come denota il loro abbigliamento nelle raffigurazioni di monumenti quali la Colonna Traiana.

L’utilizzo tattico della artiglieria leggera avveniva all’inizio del combattimento, quando gli schieramenti erano ancora compatti. In tale modo i proiettili avevano più possibilità di colpire i bersagli provocando varchi nelle file avversarie. Al momento dell’avanzata delle truppe di fanteria frombolieri e arcieri si ritiravano alle spalle del proprio schieramento.
L’eterogeneità etnica di queste truppe è confermata anche da un passo del De Bello Civile di Cesare dal quale apprendiamo che nel 50 a.C. Pompeo reclutò 3000 arcieri da Creta, Sparta, Ponto e Siria e 600 frombolieri dalle Isole Baleari. L’artiglieria pesante poteva invece essere manovrata solo da truppe legionarie. Essa era composta da macchine da guerra, denominate genericamente tormenta.

Una ballista manovrata da due legionari, su un rilievo della Colonna Traiana. È probabile che in età Cesariana questa macchina bellica avesse caratteristiche analoghe a quelle raffigurate sul monumento all’inizio del II secolo d.C.

Si dividevano sostanzialmente in due categorie: macchina lancia pietre (catapultae) e macchine lancia dardi (ballistae – scorpiones). Entrambi questi tipi di armi si basavano sul principio meccanico della torsione: due bracci di legno, sistemati su un telaio fisso e connessi ad una estremità con molle, realizzate con tendini animali intrecciati, ed ingabbiate in cilindri, venivano messi in tensione tirando una corda che era fissata alle altre estremità dei bracci. Quando l’arma era carica sulla corda veniva sistemato un lungo dardo (70 cm di lunghezza) nel caso della ballista, o una grossa pietra nel caso della catapulta. 

Le artiglierie pesanti venivano impiegate prevalentemente durante gli assedi ma esistevano anche delle balliste più piccole, dette scorpiones, che venivano utilizzate in campo aperto.
Esperimenti moderni hanno permesso di verificare che i dardi potevano essere scagliati fino a circa 300 metri di distanza. Le catapultae erano invece usate principalmente negli assedi ed erano micidiali strumenti di guerra. Sembra che queste macchine potessero scagliare violentemente pietre del peso di 45 chilogrammi.

Non si conoscono raffigurazioni di arcieri dello stesso periodo della guerra di Modena.
Le raffigurazioni della Colonna Traiana testimoniano l’impiego di arcieri di origine orientale.

Una testimonianza di Giuseppe Flavio ci può far comprendere il loro micidiale potere bellico. L’autore racconta che durante l’assedio della città ebraica di Jotapata da parte delle legioni dell’imperatore Vespasiano (69-79 d.C.) una grossa pietra decapitò di netto un difensore, la cui testa fu scagliata a 300 metri di distanza.

Modellino di porticus. Roma, Museo della Civiltà Romana.

Altre armi usate negli assedi, per abbattere porte e muri e per facilitare l’avvicinamento e l’attacco, erano vari tipi di arieti e il cosiddetto porticus, una tettoia mobile di legno montata su ruote o cilindri che spinta sotto le mura nemiche permetteva ai soldati di operare al coperto.

Modellino di testudo arietata. Roma, Museo della Civiltà Romana.

Modellino di ariete. Roma, Museo della Civiltà Romana.

Modellino di balista da posizione. Roma, Museo della Civiltà Romana.