600 e 700
Nel XVII secolo nuove “occasioni” di rinvenimenti archeologici vengono offerte dai lavori per il completamento della cinta difensiva a nord ovest della città e per la costruzione della fortezza della Cittadella. A testimoniare questi eventi sono ancora una volta le pagine dei cronisti: Vincenzo Colombi, che nella sua breve ma preziosa cronaca, oltre alla descrizione dei rinvenimenti, ci ha lasciato i disegni di alcuni monumenti antichi, fornendo in molti casi anche notizie sulle loro vicende successive; Antonio Minghelli, bibliotecario e collaboratore del Muratori, Camillo Bosellini e Giovanbattista Spaccini.
La ricerca di materiali antichi non è finalizzata soltanto al recupero di pezzi di pregio. Spesso infatti le antichità vengono cercate anche solo per il valore intrinseco della materia prima: nel 1625 gli Atti del Comune documentano una vera e propria “caccia” al piombo delle condutture romane nella zona meridionale di Corso Canalgrande (rinvenimento 239).
Tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento i recuperi di antichità si fanno più sporadici e l’interesse per le antichità e per il glorioso passato di Mutina si manifesta soprattutto a livello letterario ed erudito, in primis nelle opere di Ludovico Antonio Muratori, a cui si deve fra l’altro la notizia di uno dei pochi rinvenimenti archeologici settecenteschi a noi noti (rinvenimento 148).
I reimpieghi di antichità si fanno via via più sporadici e in assenza di nuovi rinvenimenti di sarcofagi alcune famiglie nobili modenesi riutilizzano quelli già da tempo presenti sul sagrato del Duomo. Talvolta reperti di valore vengono abbandonati o dispersi.
Un segnale significativo di questo mutato atteggiamento è il trasferimento avvenuto intorno al 1680 dei sarcofagi esposti attorno al Duomo nel cortile delle Canoniche, prospiciente al lato settentrionale della Cattedrale.