L’800 dalla restaurazione all’Unità
Nel 1828 l’arciduca Francesco IV d’Austria Este promuove la fondazione del Museo Lapidario Estense, la prima raccolta museale pubblica di Modena, destinata ad accogliere i resti monumentali della città e del territorio.
Il museo viene sistemato nell’atrio del vasto edificio dell’ex Albergo Arti, attuale Palazzo dei Musei. La raccolta e lo studio dei materiali del museo vengono affidati a Carlo Malmusi e all’antiquario ed erudito Celestino Cavedoni, figura dominante nella vita culturale del tempo.
Nello stesso anno della fondazione del Museo Lapidario, Celestino Cavedoni pubblica la sua Dichiarazione degli antichi marmi modenesi con le notizie di Modena al tempo dei Romani in cui figurano dettagliati studi sulle testimonianze monumentali di età romana del modenese, alle quali si aggiungono importanti osservazioni e notizie sulla loro provenienza e la loro ubicazione.
Attento indagatore e cronista delle scoperte archeologiche che venivano effettuate in quegli anni, Cavedoni può essere già considerato a buon diritto un archeologo specialista, la cui fama andava oltre l’ambito meramente locale, come attestano i contatti e gli scambi con antiquari e studiosi stranieri e i suoi contributi a importanti riviste e periodici europei.
Dalle descrizioni di Cavedoni si possono ricavare informazioni abbastanza dettagliate su rinvenimenti archeologici i cui materiali sono andati successivamente dispersi. Particolarmente preziosi per lo studio dei rinvenimenti nel modenese del primo Ottocento si sono rivelati anche i suoi numerosi appunti e disegni inediti, conservati presso la Biblioteca Estense.
L’esistenza in questo periodo di un vivo interesse per le antichità in una cerchia relativamente ampia di modenesi è dimostrata dalla fondazione di una “Società Archeologica” a seguito delle scoperte effettuate tra il 1844 e il 1845 scavando le fondamenta del “Palazzo del Ministero di Pubblica Economia” (attuale Palazzo della Provincia) ed eseguendo sondaggi in aree limitrofe (rinvenimenti 242, 251, 252).
La proposta di fondare una Società con lo scopo di condurre scavi per portare alla luce i resti della città romana viene avanzata dal conte Luigi Forni. Alla Società, creata con l’auspicio del Duca, aderirono, oltre allo stesso Forni, a Cavedoni e a Malmusi, l’ingegnere Cesare Costa che aveva diretto i lavori di scavo, e Paolo Gaddi, professore di anatomia nella locale Università.
Il rigore delle piante e delle sezioni stratigrafiche con cui Costa documenta lo scavo del “Palazzo del Ministero di Pubblica Economia” anticipano di quasi mezzo secolo le metodologie utilizzate nei primi scavi “scientifici” degli ultimi decenni dell’Ottocento e degli inizi del Novecento.
Gli scavi estesi e sistematici del 1844-45, pur contribuendo a suscitare una maggiore attenzione per i resti dell’antica Mutina, restano però un episodio isolato, forse perché non portano al recupero di oggetti particolarmente di pregio.
E quando a distanza di poco più di un decennio (nel 1856) vengono individuate nel corso di lavori edilizi in Rua Pioppa tre basi onorarie con dediche agli imperatori Adriano, Numeriano e Flavio Valerio Costanzo (rinvenimento 247), alla scoperta, che pure ebbe vasta eco in città, non fanno seguito grandi interventi di scavo.