I Legionari

L’esercito in questo periodo era composto in massima parte da legionari, soldati di professione provenienti spesso dai ceti meno abbienti, allettati dalla paga, dalle possibilità di carriera, dai profitti dei bottini e dalla prospettiva di ricompense al momento del congedo che di norma avveniva dopo 20-26 anni di servizio.

Questi uomini, spesso più fedeli al proprio generale che agli ideali della Res publica, garantivano un’ottima preparazione militare. Il loro usuale abbigliamento era composto da una tunica senza maniche in lana, legata in vita da un cinturone (balteum).

Nei climi più freddi era previsto anche l’uso di un mantello di lana pesante (sagum) fissato sulla spalla o sul petto da una fibula. Un altro capo d’abbigliamento assai diffuso era la paenula, una sorta di poncho dotato di un cappuccio e talvolta chiuso sul davanti da bottoni cilindrici.

Ai piedi i legionari calzavano le famose caligae, robusti calzari con suole di cuoio a cui erano applicate borchie in metallo per assicurare una migliore presa sul terreno. La tomaia era costituita da spesse stringhe di cuoio che fasciavano caviglia e stinco.

Nei climi freddi e piovosi le caligae erano portate sopra calzettoni di feltro impermeabili e talvolta erano coperte da una sorta di galosce.

L’abbigliamento da combattimento era composto dalla lorica hamata portata sopra la tunica, una sorta di corazza realizzata in cotta di maglia, anelli di ferro connessi in coppie, in modo da formare una maglia.

Queste cotte di maglia erano prive di maniche ma avevano un rinforzo sulle spalle ed erano chiuse sul petto da un gancio in bronzo terminante con volute a testa di serpente. Una volta indossata, la lorica hamata veniva stretta da due cinturoni in cuoio (balteum) che si incrociavano in vita e assicurava una protezione fino a poco sopra le ginocchia.

Il peso complessivo era notevole e si aggirava attorno ai 10 chilogrammi. La lorica hamata consentiva una discreta protezione contro i colpi da fendente e di punta delle armi da taglio ma era troppo leggera per fermare i dardi scagliati da archi. Recenti esperimenti hanno infatti dimostrato che già a 60 metri di distanza le frecce potevano penetrare quest’armatura.

Per proteggersi i legionari avevano in dotazione anche un grande scudo ovale (scutum) di derivazione celtica con costolatura centrale generalmente di ferro. La struttura dello scudo consisteva in tre strati sovrapposti di legno di quercia rinforzati esternamente da uno spesso strato di feltro di lana di pecora e a volte anche da uno strato di cuoio.

Lo scudo misurava in altezza circa 1.40 metri e pertanto era in grado di proteggere gran parte del corpo. Completava l’abbigliamento da combattimento l’elmo (cassis, sidis).

Al tempo della guerra di Modena era ancora probabilmente in uso un elmo che derivava la sua forma originale da un prototipo già usato nel IV secolo a.C. Era caratterizzato da una calotta terminante con un bottone cavo destinato al fissaggio di un lungo pennacchio di crine di cavallo.

La parte posteriore terminava con un corto paranuca, mentre il volto era protetto da due grandi paraguance laterali che venivano chiuse sul mento.

L’armamento offensivo era composto da una o due aste (pilum leggero e pilum pesante), armi da getto sostanzialmente simili ai giavellotti. La lunghezza totale del pilum pesante doveva essere di circa 2 metri.

La parte terminale dove era la punta era costituita da un’asta in ferro culminante con una cuspide a tre alette lunga circa 6 centimetri. Analoga lunghezza aveva il pilum leggero che differiva dal primo, oltre che per il peso, anche per l’immanicatura dell’asta in ferro del semplice tipo con innesto a cannone.

I due giavellotti venivano scagliati prima dello scontro corpo a corpo e, anche se non colpivano il nemico direttamente, si conficcavano nello scudo dal quale erano staccabili con difficoltà.

In questo modo rendevano spesso inservibili gli scudi del nemico lasciandolo ovviamente più vulnerabile. Dopo il lancio i pila non erano più immediatamente riutilizzabili e dunque non potevano essere riusati dal nemico.

Esperimenti moderni hanno permesso di verificare che il pilum era in grado di trapassare una tavola di legno di 5 centimetri a 10 metri di distanza.

Ara di Domitius Aenobarbus, fine II sec. a.C. Parigi, Museo del Louvre.
In un particolare del rilievo si riconosce un legionario con la lorica hamata, lo scudo e l’elmo.

L’arma offensiva per il corpo a corpo era il gladius. Si tratta di un’arma derivata dalla spada iberica conosciuta dai romani fin dal III secolo a.C. Il gladius era costituito da una robusta lama diritta a due tagli di una lunghezza di poco superiore ai 50 centimetri.

Fodero di gladius con balteum, raffigurato su un monumento funerario modenese, databile attorno al 50 – 25 a.C. Museo Lapidario Estense.

La forma e le dimensioni di quest’arma consentivano sia formidabili colpi di fendente sia eventualmente colpi di punta. Il gladio era portato entro un fodero in cuoio o legno con inserti in metallo fissato ad uno dei due cinturoni.

I legionari semplici lo portavano sul fianco destro mentre centurioni ed ufficiali lo tenevano su quello sinistro. Completava l’armamento il pugnale (pugio) che costituiva la seconda arma per il corpo a corpo. Sembra che anche il pugio fosse di derivazione iberica.

Complessivamente non superava i 35 centimetri di lunghezza e veniva portato entro un fodero sul lato opposto della spada o centralmente fissato ad uno dei due cinturoni.