Le origini
Nel 1099, poco dopo l’avvio dei lavori per la realizzazione del Duomo, l’architetto Lanfranco,“ispirato da Dio”, fa intraprendere scavi nel sottosuolo della città alla ricerca di antiche vestigia di Mutina da utilizzare per la costruzione della cattedrale.
Anche se non si conoscono in termini esatti i materiali e i luoghi di quegli scavi, sicuramente esiste, sia pur mascherata da toni miracolistici, una precisa intenzionalità nella ricerca dei reperti antichi – miras marmorum lapidumque congeries (“una stupefacente massa di pietre e di marmi”) – che testimoniano il glorioso passato della città.
Molte delle antichità recuperate vengono riutilizzate nella basilica come semplici materiali edilizi secondo una concezione del reimpiego, definito per questo motivo “invisibile”. Ma la conoscenza dei modelli antichi permea l’attività di Lanfranco e Wiligelmo che trovano nell’antichità classica una continua e feconda fonte di ispirazione.
La comunità modenese, pur se ancora sotto il controllo di Matilde di Canossa, è ormai consapevole della propria rinascita e cerca una legittimazione nelle testimonianze tangibili del glorioso passato della città. I materiali antichi non affascinano solo gli artisti: pochi anni dopo la fondazione della cattedrale, il console Azzo sceglie come sepoltura per sé e per la propria famiglia un sarcofago romano e lo fa presumibilmente collocare sul sagrato del Duomo dove nei secoli successivi faranno seguito altri monumenti funerari rinvenuti nel corso di scavi.
La coscienza della continuità storica e topografica della città con Mutina romana si viene via via affermando con sempre maggiore consapevolezza fra il XII e il XIII secolo, quando sono attivi nella fabbrica del Duomo i Maestri Campionesi.
Si riferiscono a questa fase le concessioni di scavo rilasciate a più riprese dal legato imperiale e dal vescovo ai “massari” della cattedrale per reperire tra le strade e le piazze della città e dei sobborghi pietre utili per completare l’edificio e per costruire la torre Ghirlandina.
I Campionesi inseriscono resti di monumenti romani nelle murature della cattedrale anche con la volontà di esibirli. Il reimpiego è in questo caso “visibile” e fa risaltare il reperto all’interno di un contesto medievale di cui diviene parte integrante per l’avvenuto riconoscimento della validità del suo “messaggio”.
Nel Medioevo la volontà di recuperare il fascino dei reperti antichi appare con tutta evidenza nel reimpiego dei due leoni di età romana che sostengono le colonne del protiro della facciata del Duomo.
Il loro inserimento nel contesto architettonico medievale sembra costituire una citazione consapevole della funzione originaria dei leoni di età romana posti “a guardia” di monumenti funerari.
Un reimpiego “visibile” dunque, e per questo, secondo alcuni autori, attribuibile ai Maestri Campionesi, a cui è stata riferita anche l’edificazione del protiro. Altri studiosi ritengono invece che il protiro sia stato realizzato in età wiligelmica e tendono a datare anche il reimpiego dei due leoni a quella fase o a considerarlo, in alternativa, un’inserzione successiva alla costruzione del protiro, come sembrerebbe indicato dalle evidenti tracce di rilavorazione dei capitelli che poggiano sul dorso dei due animali.
A rendere ulteriormente problematica l’attribuzione di questo reimpiego contribuisce anche una notizia riportata in una delle copie cinquecentesche della Cronaca di S. Cesario in cui si menziona il recupero nel 1209 di due leoni romani successivamente esposti in piazza presso la Porta Regia (rinvenimento 273).
Volendo identificare i due leoni della Porta Maggiore con quelli citati nella cronaca, bisogna ipotizzare che i due pezzi, collocati subito dopo il loro recupero presso la Porta Regia, siano stati di lì a poco smontati e trasferiti nel protiro della porta Maggiore, sicuramente prima del 1223, data in cui sono già attestati nella loro attuale collocazione.
E’ anche vero però che nelle altre copie a noi note della cronaca di S. Cesario non si fa alcun cenno al recupero dei leoni, il che getta forti ombre sull’attendibilità dell’unica fonte in cui compare la notizia.