Stele dei mercanti di tessuti Lucius Lucretius Primus e Lucius Lucretius Romanus. I secolo d.C. Museo Lapidario Estense.

L’economia di Mutina

Secondo quanto testimoniato dalle fonti storiche, e in particolare da un celebre passo della Storia Naturale di Plinio il Vecchio (XIV, 39), Mutina era celebre in tutto l’Impero romano per alcuni tipi di prodotti di eccellenza: le lane, la ceramica ed il vino.

 

La produzione di tessuti

L’allevamento di ovini e la produzione di lane rappresentarono fino alla tarda antichità una delle principali e più redditizie attività economiche di Mutina, probabilmente tra le più redditizie e certamente quella che trova maggiori riscontri a livello epigrafico.

Nel territorio di Mutina, nell’area dei Campi Macri, identificata nell’attuale zona di Magreta, si svolgeva fin dall’età repubblicana la tradizionale fiera-mercato del bestiame, in cui si incontravano allevatori e mediatori provenienti da tutte le parti dell’Impero.

Da Mutina proviene l’ara funeraria del liberto Quintus Alfidius Hyla (rinvenimento 46), un commerciante di lane (negotians lanarius) che aveva ricoperto la carica di seviro a Forum Sempronii (Fossombrone), collocata sulla via Flaminia in una zona tra Marche ed Umbria ricca di allevamenti.

All’allevamento di ovini e alla produzione di lane riconduce forse anche l’iscrizione del tonsor (probabilmente un tosatore di pecore) Lucius Rubrius Stabilio (rinvenimento 350), il quale ebbe accesso al collegio degli Apollinares.

Altri abitanti di Mutina esercitavano la professione di vestiarii (fabbricanti o venditori di vestiti), come i liberti Lucio Lucrezio Primo e Lucio Lucrezio Romano, e questa attività è anche testimoniata dal rinvenimento di un’iscrizione di un certo Nonius Antus (rinvenimento 162).

Anche a Mutina esistevano probabilmente delle corporazioni a carattere professionale connesse alle attività tessili, analoghe a quelle attestate da una sepoltura di Brescello in cui è citato un collegio di lanari et carminatores (produttori e cardatori di lana). Alla produzione tessile si associava la tintura delle stoffe: Marziale (Epigrammi, III, 59) ricorda il ricco proprietario di una fullonica (tintoria) di Mutina, e una stele proveniente dalla necropoli orientale (rinvenimento 350) attesta l’attività di un purpurarius (tintore).

Nelle attività connesse alla produzione e al commercio di stoffe Mutina sembra essersi distinta a lungo, traendone particolare ricchezza come sembrerebbe dimostrare una scena di vendita di stoffe rappresentata sul fianco di un sarcofago databile al III secolo.

I tessuti confezionati a Modena sono ancora menzionati come beni di lusso nell’Edictum de pretiis emanato da Diocleziano, dove si citano “clamidi semplici e orlate di porpora, vesti di mezza seta, tuniche di lana, mantelli chiusi da fibbie”; in particolare i tessuti di lana di Mutina sono elencati come i più costosi dell’Impero.

 

 

Presa di lucerna da Cittanova (Modena) con marchio MVTINA / PRISCVS F. dell’officina modenese di Priscus. Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena.

La produzione ceramica

Plinio ricorda la grande importanza della ceramica di Mutina, che equipara a quella di Tralles (l’odierna Aydin) in Turchia. Questa notizia ha trovato vari riscontri sul fronte dei rinvenimenti archeologici che attestano un’intensa attività produttiva già a partire dal II secolo a.C. Sicuramente nel territorio modenese erano presenti fornaci per la costruzione di laterizi, anfore e vasellame, ma anche numerose fabbriche di lucerne.

A partire dal I e per tutto il II secolo d.C. vennero realizzate lucerne cosiddette a canale, adatte alla produzione di serie, sulle quali il fabbricante apponeva il marchio con il proprio nome. Uno dei principali produttori di lucerne del modenese era il ben noto Fortis che aveva impiantato un’officina a Savignano sul Panaro.

Nell’area di Viale Reiter a Modena (rinvenimento 13) sono inoltre state recentemente individuate discariche contenenti un grande numero di lucerne scartate dopo la cottura, con bolli di diversi produttori: STROBILI, EVCARPI, FORTIS, COMMUNIS e PHOETASPI.

Il rinvenimento di un consistente numero di lucerne a Modena anche in via Università (rinvenimento 224) è stato interpretato da Arsenio Crespellani come la prova dell’esistenza di una “bottega” che vendeva lucerne.

Quasi sicuramente era presente anche un centro di produzione di ceramica sigillata norditalica, attivo per tutto il I e parte del II secolo d.C.

 

 

Disegno di pianta ed alzato della fornace di Torre delle Oche (Maranello), datata tra la seconda metà del II sec. a.C. e il I sec. d.C. In fornaci come questa venivano prodotte anfore, esemplificate nei disegni, destinate al trasporto dei vini prodotti nel territorio modenese.

La viticoltura

Plinio ricorda che a Mutina si coltivava un particolare tipo di uva dai chicchi neri detta perusina, dalla quale si produceva un vino “chiaro” in meno di quattro anni. Sempre Plinio racconta che questa vite era coltivata con il sistema detto a “piantata”, un metodo comunemente usato nelle nostre campagne fino a qualche decennio fa.

Disegno di pianta ed alzato della fornace di Torre delle Oche (Maranello), datata tra la seconda metà del II sec. a.C. e il I sec. d.C. In fornaci come questa venivano prodotte anfore, esemplificate nei disegni, destinate al trasporto dei vini prodotti nel territorio modenese.

I dati archeologici confermano la veridicità della testimonianza di Plinio. Ceppi di olmo maritati a vite, tipici del sistema della “piantata”, sono stati trovati sia nel sottosuolo di Modena, sia nel territorio.

In uno scavo per un pozzo in Rua Muro (rinvenimento 110) tracce di olmo maritato a vite furono trovate addirittura a dieci metri e mezzo di profondità, una quota che potrebbe essere riferita ancora alla fase etrusca, mentre analoghi rinvenimenti effettuati nei pressi di Corso Adriano (rinvenimento 230) e a S. Cataldo, non lontano dall’argine del Secchia, sono certamente riferibili all’età romana o tardoantica.

Un’ulteriore indicazione della coltivazione della vite nel modenese è fornita per l’età imperiale dal ritrovamento di notevoli quantità di semi di vite domestica nello scavo della domus di Piazza Grande (rinvenimento 146).