162. Largo S. Giorgio, presso la chiesa

Rinvenimento imprecisabile. Età romana (prima età imperiale?)
Tra il 1618 e il 1622. Lavori di ripristino alla chiesa

Una cronaca del XVII secolo ricorda il ritrovamento di un vasetto di bronzo con iscrizione. L’oggetto descritto dal cronista venne segnalato in seguito come riutilizzato nella chiesa di S. Giorgio con funzione di acquasantiera e definito di marmo.

Resta dunque incerta la reale natura del reperto, oggi non più conservato, soprattutto se messo in relazione con il testo dell’epigrafe che vi era incisa sopra, che sembra interpretabile come una sorta di insegna di bottega.

Approfondimento

La Cronaca Bosellini ricorda che negli anni in cui era rettore della chiesa di S. Giorgio don Geminiano Montali (ossia fra il 1618 e il 1622) venne rinvenuto “nelli fundamenti della chiesa” “un vaseto di bronzo” iscritto. Il vasetto è altrove descritto come acquasantiera di marmo e più volte segnalato all’interno della chiesa.

Fonti e documenti

Cronaca di C. Bosellini

 

Camillo Bosellini, Cronica antica dall’origine di Modena fino all’anno 1660BE, Cronache Modenesi manoscritte, Deputazione Collegio S. Carlo, 26, c. 53 v., p. 98

 

In un vaseto di bronzo ritrovato nelli fundamenti della chiesa di San Giorgio di Modena ne tempi del Signore don Geminiano Montali si vedono le seguenti parole

 

NONIUS ANIUS / VESTIARIUS TABER
NAM SIGNA ET QUAE / VIDES D.P.S.

Nonius Antus, vestiarius, taber/nam, signa et quae vides d(e) p(ecunia) s(ua).

Nonio Anto, produttore (o mercante) di vesti, fece a sue spese l’edificio, le decorazioni e tutto ciò che vedi.

 

I cronisti locali trascrissero erroneamente “Anius“, cognomen mai attestato, in luogo del grecanico “Antus“, dal greco Anthos = fiore, assai ricorrente nell’onomastica di schiavi e liberti.La breve iscrizione costituisce la dedica di un’opera pubblica da parte di un facoltoso artigiano o commerciante nel campo tessile.

Il commercio dei tessuti era particolarmente diffuso a Modena, per il gran numero di pecore che venivano allevate nei pascoli dell’Appennino e in pianura, alimentando un’attività che rimase viva fino al medioevo.