I tipi di sepoltura

Le più antiche testimonianze funerarie note a Modena risalgono alla seconda metà del I secolo a.C. In questo travagliato periodo, che corrisponde agli anni di transizione tra l’età repubblicana e l’età imperiale, vi furono nel mondo romano alcune importanti trasformazioni nelle manifestazioni funerarie. Si svilupparono, infatti, nuovi assetti istituzionali, politici, economici e sociali che si rifletterono anche nell’ideologia funeraria.

È a partire da questo momento che diventano sempre più frequenti le attestazioni di tombe erette per celebrare lo status sociale dei defunti. Mentre in età repubblicana le tombe erano generalmente prive di visibilità esterna e rispecchiavano un’ideologia funeraria riconducibile alla sfera privata, in età imperiale si affermò il gusto per l’autocelebrazione attraverso la massima evidenza data ai sepolcri e lo sviluppo di monumentali architetture funerarie dotate di complessi apparati decorativi, epigrafici e simbolici.

I monumenti maggiori, come del resto i piccoli segnacoli, tuttavia, non avevano una reale funzionalità ma avevano soltanto una valenza simbolica e celebrativa poiché la tomba del defunto era posta sotto le fondazioni, a volte entro un cinerario. Le aree sepolcrali potevano avere dimensioni variabili ed erano frequentemente circondate da un recinto costituito da un muro di laterizi sormontato da elementi di pietra a balaustra o da una cancellata di ferro. All’interno, oltre ai monumenti funerari principali dei proprietari, erano spesso presenti le sepolture di interi nuclei famigliari, dei discendenti, dei liberti e anche degli schiavi. A volte le aree funerarie erano di pertinenza di associazioni o collegi professionali ed erano destinate alle sepolture dei propri membri.

Un mutamento nell’aspetto delle necropoli si ebbe tra la fine del I e il II secolo d.C., quando si diffusero nuovi rituali di seppellimento, caratterizzati dal prevalere delle inumazioni sulle cremazioni, e si elaborarono nuove tipologie di monumenti funerari. Già dagli inizi dell’età imperiale si fecero più rari i grandi edifici monumentali, che si ridussero anche di dimensioni. Nello stesso tempo si utilizzarono sempre meno frequentemente i materiali lapidei fino a quando, verso il II secolo, si impiegarono quasi esclusivamente i laterizi, limitando l’uso della pietra alle iscrizioni e ad alcuni elementi accessori.

È a partire da questo periodo che divenne sempre più diffuso l’uso di casse e sarcofagi per le deposizioni dei defunti e che si svilupparono tipologie funerarie che rispondevano ad un nuovo rito funebre, rivolto principalmente alla sfera famigliare e non più teso alla celebrazione del defunto. Molte di queste tipologie sepolcrali rimasero in uso a lungo e divennero caratteristiche delle necropoli tardoantiche.

Stele di C. Fadius Zethus (rinvenimento 358). Musei Civici di Modena, Lapidario Romano.

Stele

Le stele sono lapidi di pietra su cui è scolpita la dedica funeraria, oltre ad eventuali motivi decorativi e simbolici. Tra quelle rinvenute a Modena sono riconoscibili tre grandi gruppi, distinguibili sulla base della forma generale: la stele rettangolare, la stele con timpano, ossia culminante a triangolo, e la stele centinata, cioè con estremità superiore a semicerchio. All’interno di ognuno di questi gruppi possono essere individuati altri raggruppamenti sulla base degli elementi decorativi inseriti nella fronte della stele.

Le stele più antiche della produzione cisalpina, come quella modenese di Sextus Allius, databile alla fine del I secolo a.C., sono caratterizzate dai ritratti dei defunti inseriti entro nicchie. A partire dalla seconda metà del I secolo d.C. si diffonde l’uso di semplici lastre iscritte e corniciate ornate da diversi motivi decorativi e simbolici e risulta sempre più raro l’inserimento del ritratto del defunto. Una nuova tipologia di stele si sviluppa nel II secolo d.C., in parallelo all’importazione di sarcofagi di marmo.

Si tratta di piccole stele a lastra sottile, che imitano l’architettura dei sarcofagi: la raffigurazione degli acroteri semicircolari e del frontoncino con acuti spioventi è ispirata alla sagoma dei fianchi delle grandi casse di marmo e l’inserimento di motivi decorativi, quali l’ascia, gli eroti che reggono festoni, le scene figurate, richiama le decorazioni che ornano le casse dei sarcofagi.

Disegno ricostruttivo del monumento ad edicola a cui apparteneva il fregio con corteo marino rinvenuto nella necropoli orientale (rinvenimento 74).

Monumento a edicola

Questo tipo di monumento è diffuso nella Cisalpina dalla seconda metà del I secolo a.C. fino a tutta l’età augustea. Nei casi più noti la sua forma architettonica è costituita da tre parti distinte e sovrapposte: un alto podio quadrangolare corniciato, sulla fronte del quale era inserita la dedica epigrafica, talora suddiviso da partizioni architettoniche o da fregi orizzontali; un corpo mediano che imitava la cella di un tempio con una finta porta sulla fronte, simbolo della porta dell’Ade e del passaggio verso l’oltretomba; una copertura costituita da cuspide piramidale, in genere dotata di elementi figurativi agli angoli della base e da un oggetto connesso al simbolismo funerario, collocato alla sommità, sostenuto da un capitello corinzio. Tale elemento di coronamento era frequentemente un finto cinerario, proiettato verso l’alto come forma di eroizzazione del defunto.

A partire dalla piena età augustea in Emilia Romagna si diffuse l’uso di inserire sui monumenti funerari figure di sfingi o leoni scolpite a tuttotondo, a simbolica protezione del sepolcro, poste sulla sommità degli edifici o in basso, ai lati del monumento.

Generalmente nei grandi monumenti funerari non esisteva un ambiente sepolcrale interno alla cella e le ceneri del defunto erano deposte sotto le fondazioni; è tuttavia possibile che alcune celle fossero effettivamente agibili come sembra suggerire il rinvenimento a Modena di un elemento di porta di pietra. In regione il monumento ad edicola è ben rappresentato a Sarsina, dove le dimensioni del dado di base variano da circa 4/4,5 metri di lato a circa 2,5/3 metri.

A Mutina non sono conservati monumenti integri ma diversi frammenti, tra cui fregi con corteo marino e a metope e triglifi (rinvenimenti 74 e 84), sono stati attribuiti a monumenti funerari a edicola; alcuni di essi sono stati rinvenuti in scavi archeologici, altri provengono da reimpiego.

Monumento a dado di Publius Verginius Paetus. Museo Nazionale di Sarsina.

Monumento a dado

Il monumento a dado, le cui dimensioni in area Cisalpina variano tra i 2/2,5 e i 3,5 metri di lato, era costituito da un podio quadrangolare, eretto su una base corniciata su cui correva l’iscrizione. È attestato in Emilia Romagna da monumenti databili tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del secolo successivo.

La struttura architettonica era caratterizzata da alcuni elementi ricorrenti: generalmente la superficie del monumento era scompartita da lisce paraste di ordine tuscanico, che avevano la funzione di inquadrare il testo della dedica funeraria, e figurazioni celebrative che esprimevano il livello sociale del defunto. A volte sulla sommità dei monumenti era posto un coronamento costituito da pulvini o acroteri angolari a palmetta.

A partire dagli ultimi anni del I secolo a.C. si diffuse l’uso di inserire nei monumenti funerari a dado figure di sfingi o leoni scolpite a tuttotondo, collocate sulla sommità o in posizioni basse ai lati dell’edificio, a simbolica protezione del sepolcro. A Mutina non sono conservati monumenti integri ma diversi frammenti possono essere attribuiti a monumenti funerari a dado; alcuni di essi sono stati rinvenuti in scavi archeologici, altri

Monumento a corpo cilindrico da Villa S. Maurizio (Reggio Emilia). Civici Musei di Reggio Emilia.

Monumento a corpo cilindrico

L’edificio, a pianta circolare, era costituito da uno zoccolo, da un corpo intermedio a tamburo, nel quale erano inserite l’iscrizione ed eventuali decorazioni, e da una bassa copertura conica. Il tipo si sviluppò intorno alla seconda metà del I secolo a.C. ed ebbe grande diffusione nel I secolo d.C., quando in tutta la penisola si riprodusse il modello costituito dal colossale mausoleo di Augusto.

I monumenti cilindrici più antichi documentati in Emilia Romagna sono caratterizzati da un diametro di circa 5 metri e si datano alla prima età imperiale. A Modena un esempio di questa tipologia di struttura è la sepoltura dell’ufficiale dell’esercito e alto magistrato municipale P. Aurarius Crassus.

In seguito attorno alla metà del I secolo d.C. si diffondono sepolcri di dimensioni maggiori, che si aggirano intorno agli 8-10 metri di diametro, dotati di un basamento sagomato a pianta quadrata o circolare, di un corpo cilindrico intermedio che spesso contiene figurazioni a rilievo e di una bassa copertura generalmente conica.

A questa tipologia si deve riferire probabilmente il frammento di monumento rinvenuto reimpiegato nell’abside del Duomo.

Ara di Vetilia Egloge (rinvenimento 74). Musei Civici di Modena, Lapidario Romano.

Ara

Le are sono monumenti di pietra caratterizzati da un corpo parallelepipedo generalmente sormontato da un coronamento a pulvini. L’iscrizione era inserita sulla fronte e sui lati potevano essere scolpite le decorazioni. La datazione di questo tipo di monumento funerario abbraccia un periodo di tempo compreso fra la fine del I secolo a.C. e il II secolo d.C.

Le are di dimensioni maggiori potevano essere collocate su una alta gradinata formata da una o più lastre parallelepipede sovrapposte ed essere sormontate da un coronamento modanato.

Nella necropoli orientale di Mutina  si distinguono l’ara di P. Clodius (rinvenimento 344), che era inserita all’interno di un recinto sepolcrale, e quella di Vetilia Egloge (rinvenimento 74).

Sarcofago di Peducaea Iuliana (rinvenimento 68). Museo Lapidario Estense.

Sarcofagi

I sarcofagi sono costituiti da una grande cassa rettangolare di pietra o marmo, chiusa da un coperchio e decorata da rilievi, nella quale era deposto il corpo del defunto. Solitamente erano collocati all’aperto su un basamento di mattoni o di lastre di pietra. La fronte, che recava l’iscrizione, era rivolta verso la via sepolcrale. L’utilizzo dei sarcofagi decorati, documentati sporadicamente in Italia Settentrionale già dalla fine dell’età repubblicana, si diffonde a partire dal II secolo d.C., quando ha inizio in Cispadana l’importazione dall’Oriente Mediterraneo di sarcofagi marmorei.

I sarcofagi più antichi giunsero in Italia Settentrionale direttamente dall’Asia Minore attraverso i porti di Ravenna e Aquileia, principali scali di sbarco del marmo asiatico; qui i prodotti importati ad uno stadio iniziale di lavorazione, venivano completati e commercializzati. Nei due centri d’importazione le officine elaborarono sui modelli asiatici due tipologie principali di sarcofagi: quelli a cassapanca e quelli a decorazione architettonica, la cui produzione inizia verso la metà del II e continua per tutto il III secolo d.C., quando già si comincia a risentire della crisi economica di età tardoantica.

Questi due tipi di sarcofagi, molto diffusi a Mutina, presentano caratteristiche comuni: un coperchio che imitava un tetto displuviato, coperto da tegole e coppi o decorato da un motivo a squame, e acroteri angolari, che potevano essere ornati da figurazioni simboliche o dalle figure dei defunti.

Progressivamente si organizzò nella regione una più complessa rete di distribuzione dei sarcofagi e si svilupparono manifatture locali in grado di completare le decorazioni e gli apparati figurativi del prodotto semilavorato, secondo il gusto dei committenti.

Anche a Mutina doveva probabilmente esistere una di queste officine con operai specializzati che eseguivano le iscrizioni e le decorazioni commissionate dagli acquirenti. Sono stati rinvenuti anche numerosi esemplari di sarcofagi la cui decorazione è stata lasciata allo stato di abbozzo. A questo proposito è stato ipotizzato che il possesso di un sarcofago realizzato con costosi marmi importati anche dall’Oriente Mediterraneo fosse già di per sè un elemento sufficiente a rivelare l’elevato stato sociale del defunto e che per questo non si ritenesse necessario sostenere un’ulteriore spesa per la decorazione. In altri casi, la morte prematura del committente potrebbe avere impedito il compimento della decorazione.

Lastra dei Niobidi (rinvenimento 342). Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena.

Altri tipi di sepolture.

Ad imponenti edifici funerari, di cui non è tuttavia possibile ricostruire la tipologia dato il carattere frammentario dei reperti, appartenevano il fregio figurato con il mito dei Niobidi (rinvenimento 342) e il frammento con prua di nave (rinvenimento 358) provenienti dalla necropoli orientale di Mutina.

La lastra di marmo bianco, decorata dalla raffigurazione ad altorilievo dei figli di Niobe che cadono sotto le frecce di Apollo e Artemide, fu scolpita nel I secolo d.C. probabilmente prendendo a modello un’opera dello scultore greco Fidia del V secolo a.C.

Il monumento, la cui decorazione si rifaceva a uno dei principali modelli dell’arte classica, doveva certo appartenere ad un personaggio di prestigio, che voleva celebrare il proprio livello sociale anche attraverso un colto e raffinato apparato decorativo.

 

Frammento di monumento funerario raffigurante una prua di nave (rinvenimento 358). Musei Civici di Modena, Lapidario Romano.

Il frammento di grande monumento funerario, rinvenuto in reimpiego nella massicciata di età tardoantica della via Emilia e databile all’età augustea, è decorato da una prua di nave rostrata, ossia munita di uno sperone sporgente ornato dalla testa di un leone o di un lupo che stringe fra i denti un anello.

La particolare raffigurazione fa pensare che il grande frammento di marmo facesse parte di un monumento funerario eretto per celebrare le imprese militari di un navarca, ossia un comandante militare in ambito navale, morto a Mutina probabilmente dopo avere combattuto importanti battaglie.

Sono attestati diversi monumenti funerari decorati da una prua di nave riferibili a ufficiali o comandanti di flotta, come quello rinvenuto a Cirene, in Libia, o come un frammento recuperato ad Aquileia.

 

 

 

 

Tomba alla cappuccina rinvenuta presso l’ara di Vetilia (rinvenimento 74).

Nelle necropoli di età imperiale si trovavano anche le tombe a cella, edifici funerari di mattoni, di pianta quadrata, costruiti in forma di casa o di piccola cella templare e dotati di uno o più ambienti interni con nicchie per le sepolture. Questo tipo di monumento, diffuso anche nel tardoantico, costituiva una sepoltura famigliare, destinata a nuclei talora abbastanza ampi, comprendenti anche i liberti e i discendenti. In Cisalpina non ne sono conservati esempi integri a causa delle prolungate spoliazioni per reimpiego di materiale costruttivo.

A testimoniare la diffusione della tomba a cella in Emilia Romagna nel corso della media età imperiale resta tuttavia una grande quantità di lastre sepolcrali, soprattutto trabeazioni di pietra, che recano scolpiti i nomi dei defunti, databili tra la fine del I e il III secolo d.C. A Modena è stato rinvenuto un elemento di trabeazione proveniente dalla località di Saliceto Panaro, probabilmente attribuibile ad una tomba a cella.

Oltre ai grandi monumenti funerari, nelle necropoli di età imperiale sono attestate anche sepolture di tipologia più modesta. Si tratta di tombe in semplice fossa senza alcuna protezione del corpo (rinvenimenti 326, 344, 350), in cassa di legno (rinvenimento 350), oppure in fossa rivestita da cassa laterizia (rinvenimento 350) o “alla cappuccina” (rinvenimenti 62, 344, 345). Con questo termine si intendono quelle tombe che presentano il corpo posto direttamente a terra o su un piano di laterizi coperto da mattoni e tegole disposti a spiovente.

Tali tipologie sepolcrali contenevano defunti sepolti sia secondo il rituale della inumazione che della cremazione. Queste tombe modeste e di poco impegno finanziario, segnalate nelle necropoli soltanto da piccoli tumuli di terra, da cippi o lastre emergenti dal terreno, costituiranno alcune delle tipologie più comuni delle necropoli di età tardoantica.