Sarcofago dei Valentini (rinvenimento 99). Museo Lapidario Estense.

Il reimpiego fra 600 e 700

Nel corso del XVII secolo, in assenza di nuovi rinvenimenti di sarcofagi alcune famiglie nobili modenesi riutilizzano quelli già da tempo presenti sul sagrato del Duomo e sulla piazza.

Nel 1611 la famiglia Valentini adotta come sepolcro di famiglia un sarcofago probabilmente identificabile con quello di M. Aurelius Processanus, rinvenuto nel 1532 in una località imprecisata a nord di corso Cavour.

Il reimpiego comportò la cancellazione dell’epigrafe originale nella tabella frontale e la sua sostituzione con l’iscrizione seicentesca. Pertanto l’identificazione di questo sarcofago con quello di Aurelio Processano è ancora oggetto di discussione fra gli studiosi.

Il sarcofago di Publius Vettius Sabinus, di cui non è nota la provenienza anche se probabilmente si tratta di un rinvenimento modenese, era presente nel sagrato del Duomo fin dal XV secolo, quando lo descrive Ciriaco d’Ancona come collocato “in foro apud cathedralem ecclesiam”.

Sul retro del coperchio un’iscrizione evidenzia la posizione dell’arca sul sagrato, cioè sul lato sinistro della porta maggiore della Cattedrale, forse per dimostrare l’importanza decretata da sempre a questo monumento, scolpito su tutti e quattro i lati.

Una iscrizione del 1680 sul bordo del lato posteriore del coperchio attesta che il sarcofago venne riutilizzato dalla famiglia Cortesi come arca di famiglia. Si tratta dell’ultimo reimpiego di un monumento antico da parte di una famiglia modenese prima del trasferimento in massa di tutti i sarcofagi presso il chiostro delle canoniche.

Sarcofago di Publius Vettius Sabinus. Museo Lapidario Estense.

Nel 1678-80 avviene il trasferimento dei sarcofagi esposti attorno al Duomo nel Cortile delle Canoniche che si apre di fronte al fianco settentrionale del Duomo lungo via Lanfranco, nonostante la viva protesta da parte di alcuni cittadini contro la decisione dei Canonici della Cattedrale.

E’ senz’altro questo il momento di maggior “decontestualizzazione” per questi importanti reperti che non vennero neppure degnamente conservati. Alcuni di essi servirono ad accogliere ceneri a seguito di uno spurgo effettuato nelle tombe all’interno della chiesa (sarcofago di Sosia Herennia), altri vennero abbandonati ad un progressivo degrado, come nel caso del sarcofago di Clodia Plautilla, che soffrì molto, soprattutto nel coperchio, “dal continuo conversarvisi acque e sudiciume”.

Ad un uso prettamente funzionale venne adibito il primo “sarcofago di piazza”, reimpiegato agli inizi del XII secolo per il console Azzo e poi dalla famiglia Boschetti: addossato su un lato breve al muro dell’edificio per garantire la chiusura dell’area, servì a sostenere, con l’altro lato, un’anta del cancello di accesso. Il retro del sarcofago, che dava sul lato di accesso al cortile, venne quindi imbiancato.

Il cortile delle Canoniche agli inizi del XIX secolo.

Nel complesso l’attenzione per il reimpiego di reperti antichi diminuisce notevolmente nel corso del XVII e XVIII secolo e spesso importanti monumenti vengono lasciati in stato di abbandono o vanno addirittura dispersi, come dimostra la sorte subita dal leone funerario in marmo e dalla stele dei Novani, provenienti dagli scavi effettuati agli inizi del ‘600 per la costruzione della Cittadella.

L’imponente felino, non suscitando evidentemente interesse, né prestandosi ad un mero riutilizzo funzionale, venne abbandonato per secoli alle intemperie vicino all’area dove era stato disseppellito.

La stele dei Novani, inizialmente utilizzata come base per la croce collocata davanti alla chiesa di S. Faustino, nel corso del XVIII secolo andò divisa in due parti e se ne persero le tracce per vari decenni.

La parte superiore della stele viene notata nel 1830 da Malmusi in un podere nei pressi di S. Faustino dove fungeva da elemento di un abbeveratoio, la parte inferiore fu invece ritrovata nel 1852 durante la demolizione di un edificio in corso Canalchiaro, dove la stele era stata utilizzata come materiale da costruzione.

Porzione superiore della stele dei Novani (rinvenimento 1). Il foro centrale venne effettuato agli inizi del XIX secolo in occasione del reimpiego del pezzo come elemento di un abbeveratoio. Museo Lapidario Estense.

In questo panorama di scarso interesse per il reimpiego di antichità, fa eccezione l’attenzione riservata alla stele del decurione Lucius Novius. Della stele si conosceva il testo epigrafico, tramandato da una cronaca del XVI secolo, ma del monumento si era da tempo persa ogni traccia.

Stele funeraria dell’apollinaris Lucius Novius. Museo Lapidario Estense.

Quando, nel 1752, il conte Bartolomeo Calori ne recupera la parte superiore presso alcuni edifici in rovina in un podere di sua proprietà, la notizia suscita l’entusiasmo di storici ed eruditi.

Due anni dopo il Calori dona la stele alla comunità modenese, che probabilmente in considerazione dell’importante carica pubblica di membro del senato modenese ricoperta da Lucius Novius, la fa murare nel pilastro d’angolo del palazzo comunale vicino alla statua della Bonissima.