Scena di caccia al cervo e al cinghiale raffigurata sul sarcofago di Publius Vettius Sabinus, ravennate che, come attesta l’iscrizione posta sul fronte, al culmine della carriera aveva ricoperto l’edilità municipale. Museo Lapidario Estense.

Gli esponenti dell’oligarchia burocratica e latifondista a Mutina

Un gruppo di sarcofagi, tutti di reimpiego, attesta la presenza a Modena nel corso del IV secolo di membri dell’alta burocrazia imperiale. Fra questi è il vir consularis Lucius Nonius Verus.

Nato a Brescia, ma probabile discendente di una nobile famiglia veronese, fu corrector di Apulia e Calabria e di Venezie ed Istria. Si legò a famiglie dell’aristocrazia modenese attraverso i matrimoni con Peducaea Iuliana (rinvenimento 68), defunta a soli tredici anni dopo cinque mesi di matrimonio, e Vinicia Marciana.

A questo ambiente aristocratico apparteneva anche Bruttia Aureliana (rinvenimento 55), nipote di uno dei primi consoli cristiani di Roma, Flavius Gallicanus, che ricoprì la carica di consul ordinarius nel 330 d.C. Questa nobile ascendenza consentì a Bruttia di sposarsi con un alto funzionario del consiglio dell’imperatore, il protector e notarius Flavius Vitalis.

Dal ceto aristocratico cristianizzato proveniva anche Ambrogio, che prima di divenire vescovo di Milano, aveva ricoperto la carica di corrector consularis nella provincia di Emilia e Liguria. La sua figura esercitò una notevole influenza su Geminiano, primo vescovo di Modena, e sul suo successore Teodulo che divenne notarius dello stesso Ambrogio.

Le raffigurazioni presenti su alcuni grandi sarcofagi di marmo della fine del III secolo costituiscono la concreta celebrazione di una classe sociale che accumulava ricchezze attraverso il possesso di grandi proprietà terriere.

Scene di caccia al cervo o al cinghiale e rappresentazioni di coppie di coniugi a banchetto, serviti dai loro domestici di cibi e bevande, tendono a sottolineare gli agi e il benessere di cui godevano i ricchi proprietari di questi sarcofagi.