Ritratto di Francesco IV d’Austria Este (Adeodato Malatesta, 1806-1891). Modena, Accademia Militare, deposito Galleria Estense 1995.

Il Museo Lapidario Estense

La nascita del Museo Lapidario modenese fu stabilita da un decreto dell’arciduca Francesco IV datato 31 marzo 1828. “Per la relativa raccolta e per dirigerne l’istituzione” furono nominati Celestino Cavedoni e Carlo Malmusi, mentre per dirimere eventuali questioni legali venne incaricato Cesare Galvani.

Secondo Malmusi, il museo doveva avere una triplice finalità: in primo luogo doveva fornire utili documenti e testimonianze per l’archeologia e la storia più recente, inoltre doveva servire per il ricordo di quegli antenati illustri che non solo avevano fatto predisporre nuovi monumenti, ma avevano anche reimpiegato quelli antichi lasciandone memoria tangibile in iscrizioni o stemmi scolpiti.

La terza finalità, attraverso l’esposizione di modelli esemplificativi della storia della scultura, era quella di servire da modello anche alla produzione artigianale e artistica.

La maggior parte dei monumenti che confluirono nel museo proveniva da proprietà pubbliche o ecclesiastiche. In primo luogo vennero radunate le numerose testimonianze monumentali della Comunità di Modena, murate nel Palazzo Comunale o nella Ghirlandina, e i sarcofagi del Capitolo della Cattedrale, collocati nel Duomo o nel Cortile delle Canoniche, dove erano stati trasferiti alla fine del Seicento.

A questi si aggiunsero i monumenti acquisiti con finalità didattiche nel 1808 dall’ Accademia Atestina di Belle Arti. Vennero inoltre accolti anche reperti provenienti da collezioni private, con la clausola che era fatto salvo il diritto di proprietà nonché di eventuale recupero nel caso in cui fosse venuto a cessare il museo. I nomi dei donatori furono incisi su due lastre poste ai lati e al di sotto di un monumento in onore di Francesco IV.

I sarcofagi vennero sistemati su basamenti appositamente realizzati, le lapidi e le stele vennero murate lungo le pareti del porticato. La pubblicazione del catalogo di Malmusi nel 1830 segnò la conclusione dell’allestimento del primo percorso museale.

Il Lapidario Estense nel 1828. (Carlo Malmusi, Museo Lapidario Modenese descritto dal direttore Dottor Carlo Malmusi, Modena, 1830).

Il percorso del museo era distinto in due sezioni: romana e medievale-moderna. La sezione romana era costituita da sessantotto testimonianze monumentali: in mancanza di dati sicuri sulla provenienza, i sarcofagi erano stati sistemati al centro di ogni arcata, all’interno e all’esterno del porticato, secondo criteri in parte cronologici e in parte estetici e tipologici. Gli altri monumenti erano stati ordinati sulla base della suddivisione in quattro classi operata da Cavedoni che distingueva: “monumenti sepolcrali”, “monumenti di Brescello ed altri di estera derivazione”, “frammenti” e “monumenti sacri, pubblici, votivi ed onorari”.
Negli anni successivi, a seguito di nuovi importanti recuperi (rinvenimento 247) che vennero ad aggiungersi all’allestimento originario, si rese necessaria una serie di interventi di ristrutturazione del porticato, sollecitata da Malmusi anche per una migliore conservazione e salvaguardia delle testimonianze monumentali, soprattutto in considerazione del fatto che erano state collocate in un luogo di grande passaggio.

Dopo l’allontanamento degli Estensi da Modena nel 1859, non ebbe alcun seguito la proposta formulata nel 1860 dal Ministero della Pubblica Istruzione di trasferire il Museo in altra sede più idonea, quale avrebbe potuto essere il porticato prospiciente il lato orientale del Palazzo Ducale.

Malmusi manifestò le sue perplessità sostenendo comunque la necessità di un’adeguata ristrutturazione del Museo negli spazi esistenti, anche in considerazione del fatto che continuavano ad essere recuperate testimonianze monumentali.

Sui nuovi rinvenimenti, per un totale di quarantasette, fece un accurato studio Cavedoni che li pubblicò nel 1862, tre anni prima di morire, nella Nuova Silloge suddivisi in base alla provenienza topografica: da Modena e dal modenese, da Brescello e dal brescellese.

Malmusi non poté invece pubblicare l’integrazione del catalogo del 1830, in quanto attese inutilmente fino alla morte, avvenuta nel 1874, di poter procedere a una adeguata sistemazione dei monumenti nell’ambito del percorso del Museo Lapidario, che rimase per i tre anni successivi in “completo abbandono”, come testimonia Arsenio Crespellani che ne assunse la direzione nel 1877.